Riuscire a cambiare: hai un piano?

Il desiderio è una premessa importante di ogni cambiamento. Ma non è sufficiente. Spesso per cambiare è necessario un vero e proprio programma che consenta di tradurre il desiderio in qualcosa di concreto e darne seguito con azioni puntuali e sistematiche: serve un piano d’azione.

Un piano d’azione è una guida fondamentale se vogliamo finalmente dare seguito al nostro desiderio di cambiamento. Il futuro desiderato non è sempre facile da mettere a fuoco: serve un lavoro di analisi, esplorazione e ricerca. Dopo che si è compreso dove si vuole arrivare è necessario procedere con azioni mirate e sistematiche.

Descrivo qui di seguito la struttura che seguo per la definizione di un piano di azione quando accompagno le persone nei loro percorsi di coaching psicologico, di work-life coaching  o di career coaching o di consulenza al ruolo.

Mettere a fuoco gli obiettivi

Alcune domande possono essere di aiuto: qual è il mio obiettivo di cambiamento? Quali aspetti della mia vita personale o professionale voglio migliorare? In quali specifiche situazioni?

Per qualcuno il cambiamento è riuscire a trovare un migliore equilibrio tra vita e lavoro, per altri migliorare il dialogo con il proprio partner, per altri ancora avere maggiore sicurezza e autostima.

Descrivere l’obiettivo aiuta a mettere meglio a fuoco gli aspetti di sé e della propria vita che si vogliono cambiare e orienta la progettazione di iniziative e azioni coerenti, come vedremo tra un po’.

Non è sempre facile tradurre il desiderio in un progetto di cambiamento. Nella mia esperienza questo lavoro richiede spesso un po’ di tempo e fatica. Tuttavia nei percorsi di coaching psicologico è un passaggio imprescindibile.

Indicatori di comportamento e impatti

L’obiettivo è reso concreto e più facilmente raggiungibile se viene descritto in termini di comportamenti e di risultati osservabili. Anche in questo caso alcune domande sono d’aiuto: cosa mi farà dire che sono migliorato? Quali comportamenti miei o degli altri saranno indicativi del fatto che c’è stato un cambiamento? Che cosa di concreto dovrò osservare per poter dire che il cambiamento è avvenuto?

Mi aiuto con un esempio riguardante il work-life balance, ma lo stesso ragionamento può essere fatto per molti altri aspetti della propria vita. Se l’obiettivo è un miglior equilibrio tra vita e lavoro, un comportamento osservabile potrebbe essere quello di  uscire dall’ufficio ad un orario normale, non rispondere al telefono o alle e-mail dopo cena o nei fine settimana, fermarsi regolarmente in pausa pranzo. Questi comportamenti potrebbero avere alcune conseguenze positive, come ad esempio un sonno migliore, la scomparsa di alcuni sintomi fisici (mal di stomaco, attacchi d’ansia, dolori muscolari), una maggior quantità di tempo passata con i propri figli o con il partner.

Ogni persona definisce a proprio modo i comportamenti e gli impatti che desidera ottenere dal cambiamento auspicato. Il fatto di descriverli secondo lo schema proposto aiuta a tratteggiare un miglioramento concreto e ad avere un metro di giudizio per valutare i progressi.

Azioni, supporti e tempi

A questo punto, se i passaggi precedenti sono stati descritti con cura, è facile definire una serie di azioni che nel tempo potranno portare a realizzare il cambiamento. Gli interrogativi a cui rispondere possono essere i seguenti: cosa intendo fare? Quali azioni mi porteranno ad acquisire quei comportamenti o ad ottenere quei risultati? Con quali persone? In quali occasioni? Con quali tempi?

Rispetto a ciò è importante una riflessione: non è pensabile ottenere un cambiamento continuando a fare le stesse cose. Ciò significa che le azioni da inserire nel piano d’azione devono necessariamente essere differenti da ciò che abitualmente abbiamo fatto finora.

Ci sono almeno tre possibilità. La prima: iniziare a fare cose diverse da ciò che ho fatto fin qui. Ad esempio: al capo che mi fissa una riunione dopo l’orario ordinario comincio a dire che quel giorno probabilmente non riuscirò a fermarmi e che in futuro dovremo programmare le riunione un po’ prima.

La seconda smettere di fare cose che finora ho sempre fatto. Ad esempio: se alle chiamate di lavoro ho sempre risposto al telefono anche dopo cena, comincio a non farlo più o a limitarmi a rispondere soltanto alle chiamate urgenti o a rispondere con un sms che rimandi al giorno dopo.

La terza: continuare a fare cose che ho sempre fatto, ma iniziare a farle con maggiore costanza e sistematicità. Se dedico ogni tanto del tempo per fare dello sport, posso continuare a farlo ma in modo più frequente e sistematico.

Ostacoli (“interni” ed esterni)

Mentre si compila un piano d’azione, e soprattutto quando lo si traduce in azioni concrete, quasi sempre affiorano alla mente una serie di vincoli ed ostacoli:  non è possibile, non ce la farò mai, ma io non sono in grado, ma gli altri non saranno d’accordo, etc.

È impossibile non pensare (e non avere) ostacoli che si oppongano al nostro desiderio di cambiamento. Se fosse facile cambiare l’avremmo probabilmente già fatto senza la necessità di rendere il cambiamento un progetto intenzionale. Proprio per questo, è importante dedicare una parte del piano d’azione alla descrizione degli ostacoli: quali ostacoli, resistenze, inerzie dovrò superare (mie e dei miei interlocutori) e in che modo penso di farlo?

Possono essere ostacoli “interni”, ovvero legati al proprio carattere, al proprio modo di fare o di essere, alle proprie motivazioni. Oppure possono essere ostacoli “esterni”, legati alla situazioni, al carattere degli altri, a vincoli di natura organizzativa o economica.

Non è necessario avere sulle prime risposte adeguate agli ostacoli che pensiamo di incontrare. Come ho già detto, se fosse facile cambiare non ci saremmo nemmeno posti il problema. Già il fatto di descrivere gli ostacoli, anche in modo dettagliato, è di aiuto per delimitare lo spazio di azione e soprattutto per identificare tutto lo spazio restante non vincolato dagli ostacoli che abbiamo descritto.

Facilitatori

Così come ci sono degli ostacoli, ci sono sempre anche elementi che possono facilitare il cambiamento che vogliamo realizzare. Anche i facilitatori possono essere interni oppure esterni, ovvero riguardare il nostro modo di essere, le nostre capacità, le nostre qualità oppure riguardare gli altri, la situazione o la rete di relazioni che abbiamo a disposizione.

Ecco alcune domande che aiutano ad identificare i nostri facilitatori: che cosa di me e delle caratteristiche che possiedo mi può essere di aiuto? Quali mie capacità posso utilizzare per realizzare questo cambiamento? Che cosa del contesto o delle persone che conosco mi può facilitare? C’è qualcuno tra i colleghi, gli amici o i conoscenti che mi può essere di aiuto?

Next action

Il piano d’azione per il cambiamento è tale ed efficace se termina con la programmazione di un’azione concreta. È ciò che io definisco la next action (lasciando la dicitura che utilizza Peter Bregman nel suo 18 Minutes: Find Your Focus, Master Distraction, and Get the Right Things Done da cui ho preso spunto) ovvero la prossima azione reale, concreta e osservabile.

La next action non è un’intenzione generica, come ad esempio: metterò dei limiti alle richieste, uscirò prima dall’ufficio, imparerò a dire più “no”, etc. È al contrario un comportamento concreto e osservabile , da fissare in agenda nel momento in cui si compila il piano d’azione e ogni volta che lo si riprende in mano per aggiornarlo. Ad esempio: domani scrivo al collega per dirgli che non ci possiamo vedere in pausa pranzo ma dobbiamo programmare l’incontro in orario di lavoro. Oppure: alla sera sera dopo cena non riapro il pc per controllare le e-mail. O ancora: da domenica prossima inizio a lasciare spento il telefono di lavoro.

È importante poi tener traccia di ciò che accade, anche quando non si riesce a dar seguito alle azioni programmate. Questo ci consente di valutare meglio cosa siamo riusciti a fare o non fare e per quale motivo. Anche queste riflessioni, da annotare a margine del piano d’azione, sono spunti preziosi per ritornare sui punti precedenti, riaggiornare il piano e darne un nuovo seguito.

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