Cambiare lavoro: quando la paura di deludere è di ostacolo

Cambiare lavoro è talvolta ostacolato da emozioni profonde, spesso inconsapevoli, che ci impediscono di utilizzare al meglio la nostra energia, volontà e intelligenza. La paura di deludere è legata a insicurezze e vicende del passato, difficili da riconoscere. Utilizzando in maniera integrata alcune metodologie dell’EMDR e il career coaching è possibile  superare l’empasse e dare seguito al nostro progetto di cambiamento al lavoro.

Cambiare lavoro e la paura di deludere, mano che apre agenda sul tavoloCambiare lavoro richiede un impegno notevole sia sul versante pratico, quello delle cosiddette tecniche di ricerca lavoro, sia su quello psichico, delle dinamiche emotive e delle cognizioni. Entrambi i versanti sono importanti. Si aumentano le probabilità di cambiare lavoro se si definisce con chiarezza il proprio progetto, si identificano gli interlocutori giusti, si coltiva e sviluppa il proprio network e ci si preoccupa di presentare se stessi in maniera efficace e desiderabile. Ma cambiare lavoro è talvolta più facile se ci prende cura delle proprie emozioni e di quello che ci fanno fare, o ci impediscono di fare, quando sono ingombranti. Capita a volte che queste emozioni arrivino “da lontano”, e prendano una forma muta, congelando il desiderio proprio sul punto in cui dovrebbe prendere slancio e tradursi in progetto e azione. È la paura di deludere.

Cambiare lavoro: chi delude chi?

Se c’è il timore di una delusione c’è senz’altro un’aspettativa, reale o fantasticata, che si teme vada disattesa. L’aspettativa può essere la nostra nei confronti di noi stessi oppure quella di altri per noi significativi. È questa seconda a tenere spesso in scacco la possibilità di dar vita ad un cambiamento, anche nel lavoro. Quello a cui vogliamo aspirare da un punto di vista professionale a ben guardare ha addosso lo sguardo delle persone che si sono prese cura di noi. A volte questo sguardo è uno sguardo idealizzato (vedi a questo proposito il mio post “Decisione e idealizzazione”), e l’eccessiva idealizzazione rende difficile agganciare il desiderio ad un progetto reale. In questi casi, l’eventualità di fallire nell’intento non è solo un errore di percorso, ma lo scoprirsi deludenti nei confronti di coloro che si aspettavano altro, magari di più bello e importante. Questo vale anche quando poco o nulla nella relazione è stato esplicitato. Ci sono “intenzionamenti”, per usare le parole dello psicoanalista Diego Napolitani, ovvero desideri che qualcuno mette letteralmente addosso a qualcun altro, che passano dagli sguardi, da piccoli gesti, da frasi di rinforzo o da allusioni, dai silenzi. L’idea di dover fare qualcosa di importante o semplicemente di dover occupare un certo posto nel mondo, anche quello cosiddetto del lavoro, può non essere mai stata esplicitata dalle figure di accudimento. Eppure da adulti ce la ritroviamo silenziosa, come una specie di comando al quale è difficile disobbedire, pena l’angoscia. E a questa angoscia possiamo reagire nei modi più disparati, anche rimanendo bloccati e  “congelandoci”, perdendo la capacità di agire.

Cambiare lavoro: congelati di fronte all’azione

Cambiare lavoro e blocco emotivo, gambe di persona che sta attraversando uno stopSembra esserci in questi casi un meccanismo simile a ciò che accade agli esseri umani, e ad altre specie animali, di fronte alla minaccia e al pericolo. La paura può innescare una serie di risposte automatiche, mediate dal sistema vagale, tra cui l’attacco e fuga (fight or flight), la cosiddetta “finta morte” (faint) e il congelamento (freezing).

Quest’ultima risposta è un vero e proprio blocco all’azione e ad altre funzioni vitali, che dura il tempo necessario per riprendere lucidità e capire cosa fare per mettersi in salvo.

Le figure di attaccamento, e poi in seguito per traslazione coloro che affettivamente ne prendono il posto, sono fondamentali per la sopravvivenza fisica e psichica dei piccoli. Qualsiasi cosa che possa realmente o fantasmaticamente minacciare il legame di attaccamento è un pericolo di morte ed è fonte di paura e terrore, della stessa natura che si prova di fronte alla minaccia di un predatore.

Si può ipotizzare che a certe condizioni la paura di deludere, e quindi la minaccia reale o percepita di rottura del legame di attaccamento, inneschi un meccanismo psichico molto simile al congelamento (freezing).

Ma questo può valere per i bambini, per i quali il legame di attaccamento è vitale: perché dovrebbe valere anche per un adulto?

In realtà, nella vita adulta ci possono essere vicende che fanno scattare, in maniera automatica e inconsapevole, meccanismi di reazione depositati nella nostra memoria. Sono i cosiddetti trigger, una sorta di filo trasparente che innesca l’attivazione del sistema di allarme psichico.

Cambiare lavoro, e il timore di fallire e deludere, possono essere un trigger che fa scattare una risposta automatica di congelamento e inazione.

In questi casi, molto probabilmente non entra in scena la parte adulta e consapevole, ma la parte bambina, per la quale il deludere rischia di mettere in discussione il legame con le figure di attaccamento, e quindi la stessa sopravvivenza. A questo punto, tra desiderio di cambiare e necessità di sopravvivenza, ha senz’altro il sopravvento quest’ultima.

Tutto questo si gioca su un piano psichico, emotivo e inconsapevole. A nulla servono rassicurazioni e indicazioni razionali, proprio perché è in azione la parte emotiva (che ha anche un corrispettivo fisiologico nel cosiddetto cervello “limbico”). Questa parte emotiva ricontattata, resa consapevole ed elaborata, può permettere alle parti più adulte, razionali ed evolute di riemergere, dando seguito al desiderio di cambiamento.

EMDR e coaching

Nella mia pratica professionale, anche quando la natura della richiesta non è in senso stretto di tipo clinico-terapeutico, mi avvalgo talvolta della metodologia dell’EMDR (su questo metodo potete leggere qui un approfondimento). Da molto tempo l’EMDR è stato proposto e impiegato in percorsi di sviluppo professionale e di coaching (si veda, tra le altre, l’esperienza di Lendl & Foster sulle cosiddette peak performance).

Cambio lavoro e career coaching, scritta su un muro "Do What You Love"Ci sono casi in cui per riprogettare il futuro, come quando si vuole cambiare lavoro, è necessario vedere con più attenzione quali parti del passato entrano in scena, impedendo alla persona di dare nel presente completamente seguito alla propria autenticità o di accedere alle risorse di cui dispone.

Questo è  fondamentale in tutti quei casi in cui le persone rischiano anche inconsapevolmente di adottare atteggiamenti e comportamenti che possono essere stati adeguati nel passato, ma che ora sono disfunzionali. L’esigenza di assecondare le aspettative delle figure di accudimento può essere stata reale nel passato, e il bambino e la bambina non disponeva allora di mezzi, psichici e relazionali, per fare diversamente. Da adulti invece le possibilità sono diverse e più ampie, ma per le ragioni che ho più sopra argomentato potrebbero non essere accessibili. Capita ad esempio che il presente, la volontà di cambiare lavoro,  “agganci” il passato, il terrore di deludere e non essere all’altezza delle aspettative, e finché il passato non viene lasciato al passato, distorce il presente e impedisce l’evoluzione e il cambiamento.

L’EMDR consente di andare a riprendere quell’esperienza, desensibilizzarla ed elaborarla in modo che appartenga al passato, lasciando alla persona tutte le possibilità, psicologiche e pratiche, per riprogettare il futuro.

Solo a questo punto si può dare seguito, attraverso il career coaching, alla riprogettazione professionale, con la definizione e implementazione di un piano d’azione che abbia tutti gli ingredienti per cambiare lavoro: definire  e dare concretezza al proprio progetto professionale, fare un bilancio delle proprie competenze e valorizzare l’esperienza, analizzare il mercato del lavoro e identificare gli interlocutori di riferimento, coltivare il network, promuovere se stessi con attività di self-marketing e personal branding.

Penso davvero che in molti casi in cui il desiderio è di cambiare lavoro e riprogettare il proprio futuro professionale sia necessario portare contemporaneamente l’attenzione sul versante psichico e su quello pratico. Cambiare lavoro ha spesso a che fare col prendersi cura, almeno un po’, delle proprie emozioni, dell’immagine di sé, di parte della propria storia, per liberare pensieri ed energie al servizio delle azioni concrete, necessarie per riprogettarsi professionalmente.

Le storie personali sono difficilmente separabili da quelle professionali, anche se non sempre è necessario analizzare le prime per dare seguito alle seconde. Talvolta tuttavia è utile farlo, per dare forma più facilmente  al futuro che desideriamo.

Photo by STIL, Bethany Legg and Tamara Gore on Unsplash.

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