Vacanze, ripresa del lavoro e psicoanalisi: ripartire in salute dopo la pausa estiva

Riprendere a lavorare dopo la pausa estiva genera per ciascuno pensieri ed emozioni differenti. Tutti, anche un poco esagerando, tendono ad utilizzare l’espressione “trauma da rientro”: per alcuni è soltanto un modo di dire, mentre per altri il rientro al lavoro è un passaggio critico.

Ci sono persone per le quali prevale il desiderio di riprendere le attività, i progetti lasciati, lo scambio con i colleghi: la pausa estiva le ha aiutate a fare un carico di energie per ripartire. Altri hanno invece sentimenti e pensieri contrari: rifiuto, demotivazione o desiderio irrealistico di fuga. Spesso questi sentimenti sono accompagnati da malesseri fisici (mal di testa, insonnia, nausea) o piccoli incidenti che riguardano se stessi o i propri oggetti (fratture, strappi, caduta del pc) o atti mancati (sbagliare strada, uscire ad un’altra fermata della metro, dimenticare il telefono a casa) che testimoniano nella loro concretezza qualcosa che si agita a livello emotivo.

Dopo la pausa estiva, i sentimenti che si provano alla ripresa del lavoro possono essere una buona cartina tornasole per misurare il livello di salute o patologia della propria condizione lavorativa. La psicoanalisi può in tal senso essere di aiuto.

Quand’è che il lavoro si ammala?

Il rapporto di lavoro, come tutti i rapporti , può entrare in sofferenza ed ammalarsi. Il lavoro si ammala quando è invadente, quando perde di senso o genera incertezza, quando non consente l’espressione delle proprie capacità e attitudini, quando è irrispettoso, mortifica ed esclude.

Di per sé il lavoro non è condizione sufficiente per far ammalare, tuttavia spesso sollecita e amplifica fragilità che sembravano non riguardare il lavoro. Oppure richiede capacità personali ed emotive talvolta non sufficientemente sviluppate e allenate. Il sentimento di inadeguatezza che spesso accompagna queste difficoltà porta a sentirsi in colpa. E il senso di colpa porta a sua volta a ritirarsi e a non volerne o poterne parlare.

La vacanza dal lavoro, quella pausa prolungata che l’era industriale dagli inizi del ‘900 ha introdotto per il riposo dalle fatiche professionali, è spesso l’occasione per fare il punto della propria salute e del proprio benessere al lavoro o per capire che il lavoro ci sta ammalando e che dobbiamo correre ai ripari.

La psicoanalisi come terapia per il lavoro

La psicoanalisi aiuta a cambiare e a ritrovare una condizione di salute e benessere nel lavoro, soprattutto quando le difficoltà hanno radici che affondano nella propria storia personale, nel proprio carattere e in dinamiche affettive e relazionali profonde.

In modo particolare, la psicoanalisi è di aiuto quando è necessario identificare e modificare quelle ripetizioni disfunzionali portate inconsapevolmente sulla scena professionale ma originate in altri ambiti, quasi sempre quelli familiari originari.

Spesso nel lavoro si mettono in scena copioni già visti, probabilmente gli stessi che in altri luoghi e in altri tempi erano necessari per stare bene o per sopravvivere, ma che ad un certo punto non sono più sostenibili. Queste ripetizioni, difficili  da riconoscere, si presentano in forme e relazioni differenti, hanno automatismi inconsci, sono emotivamente dissociate e di difficile accesso alla consapevolezza e quindi al cambiamento.

Un buon psicoanalista è in grado di stabilire una relazione che aiuti le persone a riconoscersi, a recuperare ed elaborare contenuti emotivi per qualche ragione messi da parte, ad accompagnare la trasformazione verso modalità di relazione più funzionali e salutari, salvaguardando la soggettività e l’unicità di ciascuno: si cambia restando se stessi.

Ripartire in salute dopo le vacanze: cosa fare

La pausa estiva, e il desiderio o il disagio con cui affrontiamo la ripresa, possono aiutarci a capire lo stato di salute del nostro lavoro.

In attesa di valutare se intraprendere o meno un percorso analitico, si può lo stesso tener conto di ciò che la pausa estiva e la ripresa del lavoro hanno consentito di tirar fuori.

Come?

Per prima cosa, si tratta di legittimare la fatica della ripresa, ascoltare le emozioni che l’accompagnano e ciò che hanno da dirci. Le emozioni vanno sempre interrogate e ascoltate.

Si tratta poi di darsi del tempo e di non correre frettolosamente alle conclusioni. Non è drammatico non vedere alternative: se fosse facile cambiare probabilmente l’avremmo già fatto! C’è un tempo per capire, poi per concepire e poi per progettare e infine per realizzare. Tutto ciò che mettiamo al mondo ha bisogno di tempo per vedere la luce!

Infine, è importante da subito introdurre piccole quotidiane discontinuità rispetto al passato. Per qualcuno è concedersi una pausa pranzo decente, per altri è dire almeno un forse (quando il dire no! può sembrare eccessivamente rivoluzionario …), per altri è riscrivere finalmente il curriculum o aggiornare Linkedin.

Sono gesti reali e allo stesso tempo altamente simbolici, a testimonianza che il nostro cambiamento, auspicato e contemporaneamente temuto, è già qualcosa che sta accadendo.

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