Workaholism: sintomi, conseguenze e cura

Il workaholism è una forma di dipendenza psicologica dal lavoro. Lo si riconosce dal tempo eccessivo dedicato al lavoro, dall’agitazione che si prova quando “non si fa nulla” e dalla riduzione progressiva dell’investimento emotivo in altri ambiti di vita. Quand’è così è meglio rivolgersi ad un professionista

Il workaholism è una forma di dipendenza da lavoro da non confondersi con la passione per il lavoro, il desiderio sano di riuscita o l’engagement. Come nelle altre forme di dipendenza, nel workaholism le persone scivolano piano piano in una relazione ambivalente con il lavoro dalla quale difficilmente riescono a liberarsi nonostante l’illusione di poterlo fare qualora ci fosse la necessità o l’intenzione. Che però non arrivano mai. Continue reading “Workaholism: sintomi, conseguenze e cura” »

Workaholism: quando il troppo lavoro nasconde qualcos’altro

Il termine workaholism (o work addiction) viene utilizzato per indicare la dipendenza da lavoro, ovvero un coinvolgimento eccessivo e privo di limiti nella situazione lavorativa. Questa forma di dipendenza è spesso legata alla propria storia personale.

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Workaholic: presi dagli ingranaggi del lavoro

Il workaholism è una vera e propria dipendenza da lavoro. Il termine è stato utilizzato per la prima volta nel 1971 da Wayne Oates nel suo libro Confessions of a Workaholic e fa riferimento ad una sorta di “ubriacatura da lavoro”, proprio per le analogie che questa patologia ha con la dipendenza da alcool.

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Vacanze, ripresa del lavoro e psicoanalisi: ripartire in salute dopo la pausa estiva

Riprendere a lavorare dopo la pausa estiva genera per ciascuno pensieri ed emozioni differenti. Tutti, anche un poco esagerando, tendono ad utilizzare l’espressione “trauma da rientro”: per alcuni è soltanto un modo di dire, mentre per altri il rientro al lavoro è un passaggio critico.

Ci sono persone per le quali prevale il desiderio di riprendere le attività, i progetti lasciati, lo scambio con i colleghi: la pausa estiva le ha aiutate a fare un carico di energie per ripartire. Altri hanno invece sentimenti e pensieri contrari: rifiuto, demotivazione o desiderio irrealistico di fuga. Spesso questi sentimenti sono accompagnati da malesseri fisici (mal di testa, insonnia, nausea) o piccoli incidenti che riguardano se stessi o i propri oggetti (fratture, strappi, caduta del pc) o atti mancati (sbagliare strada, uscire ad un’altra fermata della metro, dimenticare il telefono a casa) che testimoniano nella loro concretezza qualcosa che si agita a livello emotivo.

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Decisione e idealizzazione

Decisione e idealizzazioneDecidersi ha come finale un atto concreto che rompe l’indugio, libera energia e rende reale qualcosa che fin lì si era solo immaginato: una telefonata difficile ad un collega, l’invio di una mail scritta e riscritta infinite volte, la scelta di andarsene, la firma di un nuovo contratto, una dichiarazione d’amore.

Quel sostare nell’incertezza che precede la decisione genera una tensione che alimenta contemporaneamente il timore e il desiderio di procedere: un dialogo interiore a volte creativo e piacevole, altre volte faticoso e difficile, che prelude un cambiamento. Più la decisione ha a che fare con cambiamenti importanti della nostra vita personale o professionale, più questa tensione è difficile da contenere.

Per alcune persone questi momenti sono tutt’altro che facili: c’è un indugiare estenuante nell’attesa, una tensione pesante e paralizzante, un sovrainvestimento di analisi e riflessione, spesso accompagnati da un sentimento ansioso o vagamente depressivo o entrambe le cose.

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L’ansia, un urlo silenzioso

Ansia urlo silenziosoL’ansia è un urlo silenzioso, un modo complicato per dire a noi stessi che non siamo d’accordo con ciò che stiamo facendo e con ciò che gli altri stanno facendo con noi.

Può sembrare strano considerarla in questo modo perché non è così che l’ansia si manifesta. Per molte persone è proprio l’incapacità di urlare (o di aver urlato) le proprie ragioni a generarla.

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Psicoterapia del lavoro

Psicoterapia del lavoroSe la parola “psicoterapia” non fosse così marcatamente connotata di significato medico, potremmo dire che moltissime persone nel lavoro prima o poi hanno bisogno di psicoterapia.

Per poter pensare di servirsene senza che ciò abbia carattere di eccezionalità o di estrema ratio dobbiamo allontanarci dall’idea che la psicoterapia sia la “cura dei matti” o che sia un aiuto a cui ricorrere solo nel caso di gravi problemi psichiatrici o di indicibili traumi. O di condizioni di prostrazione psicologica fortemente inabilitanti. Se la pensassimo a questo modo è come se, per fare un parallelo, ci rivolgessimo al medico solo quando la nostra vita è in grave pericolo o andassimo dal fisioterapista solo quando non siamo più in grado di muoverci e camminare o se chiedessimo un consulto all’oculista quando siamo prossimi alla cecità. Ma in questi ambiti non facciamo così.

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